La
storia inizia con il protagonista, Vittorio, che nel 1904, si reca a
una vendita all'asta dei beni di una famiglia per la quale ha
lavorato quando era ancora un giovane e promettente maggiordomo. Ora,
anziano e un po' claudicante, si ritrova a comprare per una cifra
esorbitante un carillon e a straziarsi di ricordi fin dal tragitto in
macchina che lo riporterà nella casa in cui presa servizio.
Da
qui in poi sarà soprattutto una retrospettiva, sempre in prima
persona, delle vicende che l'hanno portato in quella casa, quella del
conte Amedeo Flores, dalla moglie Lucilla e dall'adorabile
figlioletta Nora. Vittorio è stato richiamato come maggiordomo in
quella casa per tenere fede al testamento dello zio, che pur non
avendolo mai incontrato prima, lo ha sempre mantenuto agli studi,
aiutando la madre, sua sorella, mandandole dei soldi ogni mese.
La
casa del conte Flores è silenziosa, lugubre, spenta. I servitori
sono pochi e malamente amministrati. Vittorio è un perfezionista, un
orgogliosissimo pignolo che cerca sin dall'inizio di mettere in riga
tutti gli altri, un altezzoso maggiordomo fedele ai suoi saldi
principi. Un tipo freddo, scostante, razionale. Però quella casa gli
impedisce di essere razionale fino in fondo. Ci sono strani rumori di
notte, il campanello di una stanza vuota che suona la notte,
nonostante sia disabitata da anni e sempre chiusa a chiave.
Apparizioni e scricchiolii, misteri, domande...
Uno
degli aspetti più affascinanti di questo libro è l'atmosfera. Quel
profumo grigio e nebbioso, quell'aria piacevole e inquietante da
romanzo gotico inglese... è straordinario il modo in cui l'autrice è
riuscita a riprodurla. E poi i personaggi, la loro fedeltà a se
stessi e alla propria caratterizzazione. I piccoli gesti che si
ripetono, che li descrivono senza ridondanza...
Un
romanzo che non sembra figlio di questo tempo, che ha in sé il ritmo
e la voce di un classico. Intenso, pregno, eppure così ben dosato.
Di
quelli che si consigliano da soli.
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